Il nostro personalissimo racconto di un congresso internazionale: le cronache delle sensazioni e delle emozioni di chi lavora all’organizzazione di un congresso.
Come spiegare quel sentimento, quella malinconia che ti prendeva l’ultimo giorno di scuola, negli anni del liceo. Erano i primi giorni di giugno.
Finite le interrogazioni, e tutte le materie “prese”, anche in latino con un risicato 6 ero riuscito a non essere rimandato.
Erano i giorni di una sigaretta divisa in cinque seduti sullo schienale della panchina fuori scuola. Dei gavettoni e di baci che sapevano di amore eterno. Erano giorni che sapevano di stanchezza, di malinconia ma di soddisfazione, orgoglio. Più di dieci anni dopo, riecco quel miscuglio di sensazioni, quel profumo, quell’umanità.
Stanchi ma contenti. Fuori Forma ma soddisfatti. Poche ore alla fine del congresso e già parlavamo di ricordi. Ognuno raccontava e si raccontava. Persone, sentimenti, personaggi ed esperienze. Come si faceva proprio l’ultimo giorno di scuola quando ci si raccontavano tutti i “filoni”, tutte le gaffe del professore d’inglese, tutte le interrogazioni. Come a dire: è stata dura, ma ce l’abbiamo fatta!
E ho sentito esattamente questo il giorno dopo il congresso tra telefono che squillava e pausa caffè lunghissima. E via con i racconti dei tre giorni. Ognuno con un punto di vista diverso, ma tutti con la stessa sensazione di vuoto, di fine.
Un congresso per me che sono una matricola non è solo un esperienza di lavoro. Ma un percorso. Qualcosa da condividere. Un congresso dura anni. Progettazione, contrattazione, realizzazione. Infinite chiamate, email, problemi di vario genere. Iscrizioni e sito che si blocca (il server di Arubache si incendia chiaramente nell’ultimo giorno di iscrizioni al congresso).
Una serie infinita di passaggi, di procedure. Di equivoci. Briefing e condivisione con tutti. Un lavoro intenso e stressante. E qualche volta finisci pure per odiarlo.
E poi arriva il giorno del congresso
E inspiegabilmente si è emozionati. In fondo è il tuo lavoro che si palesa agli occhi di tutti. È la tua creatura che prende vita, che comincia a respirare. Una macchina organizzativa che deve partire. L’attenzione di tutti è li come se tutto il nostro mondo si concentrasse in quel pezzo di università. Si comincia presto e malgrado l’appuntamento eravamo tutti stranamente in anticipo di mezz’ora. Eravamo lì insieme ed era curioso. Era come dire: “tutti ai posti di combattimento” o come fanno gli attori prima di entrare in scena: mani sulle mani e quella parola che per ovvie ragioni di finto decoro non ripeto. Tutti uniti, una sola squadra, tanti ruoli con l’obiettivo di portare a termine nel migliore dei modi questo nostro progetto. Si prepara la segreteria organizzativa, si rilegge per la sessantacinquesima volta il programma del congresso, ultima occhiata alle attrezzature e alle sale. E poi il telefono che non smette di squillare e quel suono, quella suoneria sarà la colonna sonora del congresso.
Le ragazze bellissime e raggianti in tailleur rosso, che malgrado il gran caldo riescono a portare con disinvoltura. Sorridenti, anche in tacchi riescono a fare movimenti e sforzi da camionista con la grazia e la delicatezza di ballerine di danza classica. Una barriera tutta al femminile che contrariamente a quanto si pensi, ha dimostrato solidarietà, coesione e grande professionalità. Una squadra di donne che sfata il mito delle “ belle ma stupide”…